Il dibattito sulla legalizzazione/liberalizzazione delle droghe leggere in Italia ha indotto il ministro della Salute Beatrice Lorenzin a dichiarazioni piuttosto contraddittorie. Lorenzin ha dichiarato che il suo ministero si oppone alla liberalizzazione di sostanze psicotrope e che combatte ogni dipendenza, incluso il gioco d’azzardo (che impropriamente l’ufficio stampa del ministro ha ancora una volta chiamato genericamente “gioco”).
Ci sembra necessario ricordare al ministro che questo non è affatto vero per quanto riguarda la dipendenza da azzardo, visto che in Italia il gioco d’azzardo è liberalizzato tramite l’ipocrita sistema concessorio (lo Stato concede licenze a pagamento a grandi gruppi privati che organizzano l’offerta di gioco d’azzardo sul territorio a scopo di lucro). Non solo: esso è di fatto promosso dallo Stato e dai privati tramite la pubblicità e tramite la subdola propaganda del “gioco responsabile”. Risulta dunque ridicolo che Lorenzin si atteggi a “proibizionista coerente” su droghe e azzardo quando in realtà la posizione del governo di cui fa parte, e ancora di più del suo partito NCD, è più che permissiva sul gioco d’azzardo liberalizzato di massa.
Legalizzare non equivale a liberalizzare. Se qualcosa viene liberalizzato, se ne crea un libero mercato privato legale. Se qualcosa viene legalizzato ma non liberalizzato, il settore pubblico ne detiene il monopolio ma non è permesso costruirci sopra un business privato.
Nel caso del gioco d’azzardo, riteniamo superficiale la teoria che la liberalizzazione sconfigga il mercato nero e riteniamo sbagliato sopravvalutare le differenze tra il mercato legale e il mercato nero. Sospettiamo che un discorso simile sia applicabile anche alle sostanze stupefacenti: qualcuno crede forse che se venissero liberalizzate a gestire i grandi flussi di sostanze dai Paesi produttori a quelli consumatori e a organizzarne la distribuzione locale sarebbero personaggi molto più rispettabili di quelli che lo fanno oggi?
Noi proponiamo che il gioco d’azzardo subisca una legalizzazione controllata, cioè sia tenuto come monopolio statale puro, senza fini di lucro (dunque con macchinette di concezione completamente diversa), col solo scopo di ridurre il danno e rovinare la piazza alle bische clandestine e alle mafie e di guidarne l’estinzione. La stessa cosa ci sembra necessaria per le droghe pesanti. Su queste “droghe” non ricreative, che producono dipendenze letali e fomentano alienazione sociale, non ci definiamo né proibizionisti né antiproibizionisti, bensì abolizionisti.
Le droghe ricreative (di cui fanno parte alcune droghe quasi innocue come la cannabis e alcune droghe più pericolose come l’alcool) hanno delle specificità che rendono particolarmente insensato il proibizionismo. La distinzione tra uso e abuso in questi casi si fa marcata e riguarda l’intreccio tra l’autodeterminazione dell’individuo e le condizioni sociali. Ricordiamo che in Turchia le lotte di piazza Taksim e di Gezi Park hanno avuto tra le rivendicazioni anche la libertà di consumare alcoolici contro il proibizionismo islamista.
Lo ribadiamo: le slot machine, tuttavia, non sono una droga ricreativa; altri giochi d’azzardo (tombola, poker) possono avere un carattere ricreativo a condizione che le loro caratteristiche strettamente ludiche siano protette dall’influenza degenerativa della liberalizzazione su larga scala.
Il modello del presidente progressista Pepe Mujica usato per la legalizzazione (non la liberalizzazione) della marijuana in Uruguay ci sembra più interessante dei modelli liberisti. Quella riforma prevede il consumo libero entro un margine piuttosto ampio, ma il monopolio statale della distribuzione, che dovrebbe avvenire tramite le farmacie e a prezzi competitivi rispetto a quelli del mercato nero. Lo Stato non è previsto che lucri sull’operazione, che ha scopo preventivo, e quindi non dovrebbe avere interesse a promuovere il consumo. Sarà consentita l’autoproduzione delle piantine a scopo di consumo diretto o associato ma anche qui senza la possibilità di creare un business.
Esiste poi una questione sociale e culturale importante legata alla criminalizzazione dei consumatori o dei giocatori d’azzardo. Si tratta spesso di giovani, di proletari, di anziani, di immigrati. La colpevolizzazione moralista e la repressione poliziesca aggravano il fenomeno, ghettizzano, producono emarginazione ed esclusione sociale. Questo è inaccettabile ed è ormai un problema di dimensioni colossali nelle periferie italiane.
Un dibattito pubblico più avanzato sulle dipendenze dovrebbe a nostro giudizio considerare queste sfumature, le specificità delle diverse situazioni, le diverse possibilità politiche che si aprono e che non possono essere ridotte a una scelta binaria. Soprattutto sarebbe opportuno evitare di utilizzare analogie poco meditate con il gioco d’azzardo per argomentazioni superficiali o ipocrite.
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